giovedì 13 marzo 2008

La mostra di Miro' a Ferrara

Nella Mostra di Ferrara viene focalizzata l’attenzione su un tema fondamentale della sua opera: il legame con la terra. Egli rappresenta il mondo rurale e contadino, il culto delle origini, l’attenzione ai temi della sensualità, l’interesse per la materia, per l’aldilà, per la vita e la morte.
La mostra è organizzata nel seguente modo: ci sono 9 sezioni cronologiche e tematiche che ripercorrono l’intera attività dell’artista attraverso i dipinti, le sculture, i collage e i disegni. Le sue prime opere furono realizzate tra il 1918 e il 1921 a Montroig, nel sud della Catalogna, dove soggiornava spesso. I paesaggi di Montroig sono stati realizzati minuziosamente, tegola per tegola, foglia per foglia, ramo per ramo. Trasferitosi poi a Parigi da vita ad una nuova tipologia di paesaggi.

(Joan Mirò Sole rosso 1967)Grazie all’incontro con l’ambiente dadaista, la sua visione del mondo si trasfigura in una dimensione onirica. Il pittore abbandona la concretezza che caratterizza le opere precedenti e crea un mitico spazio abitato da figure archetipe. L’importanza della memoria e la ricerca delle origini lo hanno portato a realizzare nel 1927 una serie di paesaggi, di grande formato, legati al mito della genesi. Realizza tra il 1929 e il 1931 i collage, l’assemblaggio e le opere tridimensionali. Ritornato ad interessarsi alla la terra e precisamente ai più svariati tipi di materiali, li sceglie e li associa con libertà totale. Nella mostra vi sono anche una serie di opere ispirate al mito di Plutone, dio degli inferi, e al tema della fertilità.

Fin dall’antichità infatti il concetto di fertilità era legato al mondo sotterraneo da dove si immaginava avesse origine la linfa vitale. L’artista realizza opere dedicate a questo tema e sperimenta nuove materiali come lastre di rame, e dipinti su masonite. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiate ritorna a Montroig e nelle sue opere compaiono figure alate, malinconiche ed ostili. La mostra si chiude con le opere realizzate nello studio di Palma di Maiorca nel 1956 dove l’artista catalano sperimenta tecniche svariate e oggetti eterogenei riflettendo sul ciclo della vita, l’eterna trasformazione della materia, la vita e la morte.

A proposito, il giorno in cui sono arrivata a Rimini sono andata a pranzo in un piacevole agriturismo nell’entroterra riminese, vicino alla località Borghi, dal nome molto romantico: Angels Hill Farm. Si trova proprio su una collina, circondato da verdi rilievi. Vicino al casolare c’è una moderno ricovero per i cavalli. E’ tutto nuovo e molto accurato.
La sala da pranzo, dove abbiamo mangiato, si affaccia sul verde e su un bosco di ulivi. Ad un certo punto fra i cespugli ha anche fatto capolino un fagiano. Il menù: dopo l’antipasto, piadina con stracchino e rucola e prosciutto, ho gustato i cappelletti romagnoli in brodo e dei buoni tagliolini con il sugo di maghetti. Il secondo, tipico della cucina romagnola, era composto da agnello, salsiccia, costolette arrosto, con i buoni contorni di queste parti, erbette e pomodori gratinati.
Ho assaggiato invece la porchetta e il pane casereccio, entrambi cotti nel forno a legna dal titolare.
Un pranzo molto piacevole e che si è rivelato anche molto poco costoso.

Vi racconterò poi le mie impressioni sulla mostra.